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Turkmenistan Ovvero La repubblica dell’apparenza

Inutile girarci attorno, in un paese come questo non ci si arriva per caso. Ammesso che vi facciano entrare.

Un visto turistico costa svariate centinaia di dollari e nel periodo in cui resterete in Turkmenistan sarete accompagnati passo passo da una guida turistica, della quale dovrete accollarvi anche il costo dei pasti e dei pernottamenti  (non aspettatevi di trovare alberghi che costino meno di 40$ a notte, prezzo maggiorato in media del 1000% rispetto a quanto pagherebbe un autoctono).

Se disponete di un budget ristretto, come il sottoscritto, potreste invece trovare allettante il cosiddetto Transit Visa, visto che permette la permanenza sul suolo turkmeno per soli cinque giorni ma che perlomeno non vi vedrà costretti ad accompagnarvi con una guida che metterà il naso in quello che fate quasi fin dentro al gabinetto; ricordatevi però che alla classica domanda “Turist?”  dovrete rispondere con “No, transit” per non attirare sguardi interrogativi sul perché stiate gironzolando senza il vostro cicerone (no, non esagero quando dico che sarà SEMPRE con voi). Ovviamente “cinque giorni” significano più spesso tre o quattro, in quanto quando dopo aver avuto a che fare per la prima volta con la polizia locale, vorrete evitare attentamente il rischio di rimanere bloccati in questa repubblica centro asiatica a causa di un visto scaduto. Davvero rischiare di essere deportati in Azerbajan, dove probabilmente vi troverete comunque ad avere problemi di passaporto, non credo sia un’esperienza piacevole.

Mettete però in conto almeno due settimane di attesa dal momento in cui presenterete la domanda per il vostro Transit Visa (costo intorno ai 55$, 11$ al giorno!) a quando riceverete una risposta, con una possibilità vicina al 50% che vi venga negato. Non c’è maniera di sapere quale siano i motivi per i quali un visto viene accettato e un altro rifiutato, ma ho visto coppie che avevano presentato la richiesta nello stesso momento ma hanno dovuto rinunciare alla visita in quanto solo una domanda delle due aveva ricevuto risposta positiva.

Mi raccomando, munitevi precedentemente del visto per il paese successivo e di fotocopie del passaporto rigorosamente a COLORI oppure verrete rispediti al mittente; e dopo aver passato tre ore fuori da un’ambasciata in fila potrebbe non essere piacevole.

Dati questi presupposti, la domanda sorge spontanea: vale la pena imbarcarsi in un’odissea burocratica per entrare in Turkmenistan?

Parliamo di un paese che poggia letteralmente su di una delle riserve di gas naturale più grandi al mondo. Nonostante questo, soprattutto a causa del regime totalitaristico che governa il paese dalla caduta dell’Unione Sovietica, la popolazione vive nella povertà quasi assoluta, anche se in cambio della libertà personale (il Turkmenistan è al penultimo posto nelle classifiche di libertà di stampa, meglio solo della Nord Corea), vengono dati ai cittadini gas, acqua ed elettricità gratuiti.

Le leggi promulgate dai due presidenti che si sono succeduti al potere ( Saparmyrat Niyazov fino alla sua morte nel 2006 e da allora il suo fidato consigliere, Gurbanguly Berdymukhamedov), sono diventate famose per la loro, chiamiamola così, originalità. Dal cambio dei nomi dei mesi con quelli dei propri familiari (Niyazov, il Venerdì per un periodo si chiamava invece Maria), al divieto di far circolare macchine di colore nero (Berdymukhamedov, sembra stonino con il bianco dei marmi della capitale Ashgabat, entrata nel Guinness dei primati per avere il maggior numero di palazzi ricoperti di questo materiale), fino al divieto per le commentatrici televisive di truccarsi in quanto potrebbero distrarre gli spettatori dalle notizie riportate.

Saparmyrat Niyazov, presidente della repubblica turkmena dal 1990 al 2006 (foto tratta da Wikipedia).

Il culto della persona è stato portato agli estremi: Niyazov alla fine del secolo scorso fece costruire un arco imponente, denominato Monumento alla Neutralità, sulla cui sommità venne posta una statua dorata che lo raffigurava e ruotava di 360° seguendo il sole, lasciando la parte anteriore sempre esposta alla luce dell’astro.

Non so voi, ma quando io mi sono imbattuto per la prima volta in queste peculiarità, ho deciso che dovevo assolutamente trovare il modo di vederle e viverle di persona.

 

A livello turistico il paese non da troppe opzioni essendo ricoperto per più del 70% da deserti e aride steppe, quelle poche però, lasciano decisamente a bocca aperta.

A poche decine di chilometri da Mary, nel sud del paese, le rovine di Merv sono un passaggio obbligato per chi è sulle tracce dell’antica Via della Seta.

Panoramica di Merv, il sito si estende su molti chilometri quadrati.

 

I primi insediamenti umani nella zona sono risalenti al terzo millennio a.C., ma la leggenda di questa città (in realtà sono cinque, costruite una vicino all’altra nei secoli, seguendo il corso dei fiumi) capitale di una satrapia dell’impero persiano e capace di affascinare persino Alessandro Magno, è legata al periodo storico a cavallo tra l’XI e il XII secolo quando Merv, considerata all’epoca la città più popolosa del mondo, rivaleggiava con Damasco, Il Cairo e Baghdad per il titolo di maggior centro culturale islamico.

Mura difensive di Merv. Sono uniche nel loro genere.

 

Un esempio valido di questo primato è il Mausoleo  di Sultan Sanjar. Costruito all’inizio del XII secolo, è alto circa 38 metri con una base quadrata; si dice che un tempo le piastrelle turchesi che la ricoprivano lo rendessero visibile a decine di chilometri di distanza ma anche oggi, testimone lo sforzo economico congiunto tra i governi turkmeno e turco per il suo restauro, è un edificio di sicuro impatto.

Mausoleo di Sultan Sanjar.

 

Porta dell’Inferno è senza dubbio un nome altisonante e lugubre, ma è in realtà una maniera per rendere più teatrale quest’altra bizzarria turkmena. Conosciuti anche come Crateri gassosi di Darvaza, questi tre giganteschi fori di perlustrazione vennero creati da ingegneri russi durante gli anni ’70, mentre erano alla ricerca di riserve di petrolio.

La porta dell’Inferno. E’ assodato che nemmeno i russi pensavano potesse continuare a bruciare così a lungo.

 

Quando il maggiore per dimensioni  crollò su se stesso liberando una grande quantità di gas naturale, venne deliberatamente incendiato per evitare disastri  ambientali maggiori e da allora continua a bruciare ininterrottamente. Questo è senza ombra di dubbio il sito più scenografico di tutto il Turkmenistan e migliaia di turisti ogni anno vengono a campeggiare in questa zona sfidando scorpioni e serpenti velenosi per godersi lo spettacolo notturno quando, senza inquinamento luminoso a contaminare la scena, si ha effettivamente la sensazione di essere sul punto di precipitare in un mondo sotterraneo decisamente torrido (e puzzolente, fidatevi).

Ho lasciato per ultima la capitale di proposito.

Come già accennato precedentemente, nel momento in cui metterete piede ad Asghabat  avrete la sensazione di trovarvi nella più mastodontica, bianca e inutile cattedrale nel deserto che la mente umana abbia mai concepito. Nonostante tutto vi piacerà tantissimo, ne sono sicuro.

Centinaia di palazzi completamente ricoperti di marmo bianco (c’è chi sostiene che la maggior parte sia italiano, c’è di che andarne orgogliosi) e intarsi dorati, tanto da far male agli occhi nel sole del primo pomeriggio. L’unico altro colore che ogni tanto interrompe questa egemonia è il verde degli immensi parchi disseminati senza troppa logica e che il visitatore tenderà a vedere come salvifiche oasi nel deserto soprattutto se farà come me (se non lo avete ancora capito non sono molto furbo) che non ho trovato migliore idea se non quella di girare la città nel momento in cui i termometri segnavano 56 gradi all’ombra.

Asghabat conta il più alto numero di edifici ricoperti di marmo al mondo.

 

Mentre il nostro intrepido viaggiatore si godrà in santa pace la meritata frescura, anche senza essere un esperto di botanica probabilmente qualche domanda se la farà guardandosi attorno: abeti e pini ovunque, a cinquanta gradi e in mezzo ad un deserto. Se qualcuno mi sa dare delle motivazioni sensate per giustificare l’evidente sofferenza di quelle povere conifere per cortesia si faccia avanti, perché io proprio anche scervellandomi non ne sono venuto a capo.

Sembra proprio un ambiente adatto ad ospitare conifere.

 

Cosa dire poi delle fontane di Ashgabat? Ad ornare i lunghi, larghi e sempre deserti viali della città troveremo ovunque vasche zampillanti lunghe anche centinaia di metri; ma è la Fontana di Ashgabat,nonostante la scarsa fantasia nel nome, ad essere l’attrattiva maggiore: 16 ettari di piscine dai getti d’acqua sincronizzati,  illuminate 24 ore al giorno e circondate da statue dorate per la verità piuttosto pacchiane, rappresentanti  i mitici antenati del popolo turkmeno. Ovviamente questo è un altro record entrato nel Guinness dei primati.

Un ultimo appunto lo meritano i turkmeni. Nel breve periodo in cui ho avuto la possibilità di entrare in contatto con la popolazione locale, sono sempre stato accolto da sguardi curiosi e sorrisi dorati (anche le dentiere qui vanno di moda così, anche se per un periodo erano state messe fuorilegge, al pari di balletto classico e opera lirica), pacche sulle spalle e commenti in turkmeno che ovviamente non c’è stato verso di riuscire a tradurre. Le donne, oltre a vestire orgogliosamente degli splendidi vestiti tradizionali, sembrano molto più libere nei movimenti e nelle scelte di qualsiasi altro paese mussulmano in cui ho avuto la possibilità di viaggiare. La figlia di Niyazov (attrice, cantante pop di successo e ambasciatrice) veniva data come sicura succeditrice al padre, fino quando lo stesso non la fece imprigionare adducendo ad un tentativo di golpe mai veramente confermato.

Chiedetemi ancora se vale la pena andare in Turkmenistan. Io ci tornerei anche domani.

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