Storie semiserie di un viaggiatore poco serio

Come non prendere un taxi in Cina ovvero Perchè non è necessario ricaricare il credito telefonico

Mi sono trovato a Chongquin, sempre decisamente troppo a sud rispetto alla Via della Seta ma per una valida ragione, un piccolo segreto che vi svelerò nei prossimi giorni.

La suddetta città in realtà è una megalopoli da circa 30 milioni di abitanti in rapidissima espansione e potrete immaginare il mio disagio nel momento in cui dovendo far ritorno alla stazione dei treni per proseguire il mio viaggio verso nord, la connessione internet del mio telefono  mi ha abbandonato. Così, tutto d’un botto.

Nei giorni precedenti avevo disturbato  più volte il mio buon amico Amerigo con copie dei messaggi in cinese che ricevo più volte al giorno per farmeli tradurre, ma sono risultati essere solo tentativi di vendermi promozioni più “convenienti” o messaggi di benvenuto delle varie provincie in cui arrivavo. Mi sembra oramai chiaro che tra quelli che ho bellamente ignorato ve ne fosse ovviamente uno che mi avvertiva della fine del credito.

Sono quindi disperso in una città sconosciuta, privo di un minimo di orientamento (nemmeno del muschio sugli alberi), la consapevolezza che nessuna metropolitana porti in stazione e con un treno già pagato di qui a due ore. Perfetto. Provare a comunicare con i locali senza un traduttore è assolutamente inutile.  Non rimane che il taxi.

In Cina i taxi  sono bestie strane: hanno un po’ un codice della strada tutto loro, si incuneano e passano dove fisicamente non sarebbe possibile e hanno un’etica nella scelta del cliente che ancora non mi è chiara. Ho però già osservato attentamente la gestualità piena di significati profondi ed evolutasi nel tempo necessaria per accaparrarsene uno: ci si mette a bordo strada, il braccio ad angolo retto che si spinge sul corso stradale e all’avvicinarsi  di un automezzo giallo si comincia ad agitarlo in maniera più o meno animata. Posso farcela.

Dopo mezz’ora abbondante e  diverse decine di taxi che mi passano davanti senza curarsi troppo del sottoscritto, incomincia a salirmi un po’ d’ansia. Il mio piano B consiste semplicemente nel buttarmi quasi in mezzo alla strada a braccia spalancate e pregare che qualche tassista mosso a compassione decida di  fermarsi . Dopo un paio di tentativi,  fortunatamente ci riesco ma il pover’uomo sembrava più intimorito che altro: barba, capelli lunghi e carnagione olivastra; spero non mi abbia preso per un terrorista.

Salito sulla macchina si presenta però un problema ben più grave al quale la mia mente costantemente organizzata e preparata ad ogni evenienza, non aveva pensato: come faccio a spiegargli dove devo andare? Provo a fargli vedere delle immagini del mio biglietto del treno ma nulla, i caratteri latini proprio non li capisce. Incomincia anche a innervosirsi un po’ visto che gli tengo fermo il taxi e le altre macchine in coda cominciano a suonare il clacson in maniera piuttosto continua… Come fare?

L’ultimo tentativo è simbolo dell’italianità che porto dentro di me da sempre: braccio ad ombrello, pugno chiuso e mentre muovo l’arto su e giù comincio con “Ciuf Ciuuuuufff, Ciuf Ciuuuuufff! To-ton to-ton. To-ton to-ton”. Il pover’uomo mi guarda allibito e io sono al limite della disperazione, ma pochi istanti dopo vedo una scintilla accendersi nei suoi occhi “Nhddssl! Njpoijo!” e io “Hai!” (parola giapponese che significa “Si”), non so se hai capito dove portarmi, ma ti prego da qualche parte andiamo.

Dopo un ulteriore quarto d’ora, imbottigliati nel traffico e in silenzio, io ancora non ho capito se sto facendo la cosa giusta ma a questo punto oramai poco importa. Lo guardo. Lui mi guarda. Gli offro una sigaretta. La prende tra le dita, apre il finestrino e la accende. Sembra perso nei suoi pensieri ma ad un certo punto esclama: “Ciuf Ciuuuuufff” e giù una risata grassa e piena, scuotendo la testa. Mi sono fatto un nuovo amico.

Passano pochi minuti e siamo in stazione. L’onomatopea e la gestualità italiana funzionano ancora. Lo pago, ci salutiamo e salgo i gradini due a due. Salgo sul treno per un soffio.

Ma è decisamente la parte meno interessante della mia giornata.

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