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Il rapimento della sposa Ovvero Quando non si può supportare una tradizione

Questa è la storia di Jyrgal,ma non solo.

Aveva diciassette anni quando un pomeriggio, nel suo giardino in un villaggio a poco più di 150 chilometri da Tashkent, è cominciata la sua odissea.

Una persona amica, quelle che definiremmo “di famiglia”, le chiese aiuto per portare alcune cose dalla macchina fino a casa ma, nel momento in cui si avvicinò al mezzo, tre uomini sbucarono dal nulla.

Uno la prese per le braccia, uno per le gambe e il terzo aprì una delle portiere posteriori e la caricarono a forza sul sedile. Scalciò, urlò ma fu tutto inutile. Nessuno vide niente. Nessuno sentì niente.

Jyrgal è seduta di fronte a me, parla con voce pacata ma con sguardo fermo mentre beviamo del the in un piccolo e confortevole appartamento della capitale kirghisa. Sono passati molti anni da allora, quasi venti, ma ricorda tutto perfettamente.

Gli uomini che la rapirono, in una loro contorta visione del momento, non stavano abusando fisicamente di lei; semplicemente uno di loro  si era innamorato e aveva deciso di sposarla.

Il “Bride Kidnapping” (rapimento della sposa o, in kirghiso, ala kachuu che significa più o meno “prendi e corri”) è stato un elemento delle culture centro asiatiche per secoli; persino durante manifestazioni di carattere folkloristico, uomini a cavallo fingono di rapire le proprie amate tra le risate dei presenti.

Spesso i due innamorati e le rispettive famiglie ricorrono a questo “stratagemma” anche per abbattere i costi del matrimonio stesso, normalmente ingenti. Si da il caso però, che un buon numero di casi non vedano le donne coinvolte d’accordo e Jyrgal mi ha raccontato cosa successe a lei.

Terrorizzata perché conscia di cosa stesse succedendo, quando dopo pochi chilometri la fecero uscire dall’auto era come paralizzata ma, ci tiene a precisare, nessuno la trattò male anzi: la sposa merita sempre tutti i riguardi possibili.

Entrata nella casa dell’uomo (tra le altre cose mi confida che era poco più grande di lei e era già stato respinto più di una volta), vide che era già addobbata per le nozze e fu lasciata sola con le donne della famiglia che la fecero accomodare tra di loro e, tra moine e velate minacce, cercarono di convincerla ad indossare il velo bianco da sposa.

Jyrgal afferma che se avesse ceduto non ci sarebbe stato ritorno, si sarebbe dovuta sposare. Ma anche le alternative non erano molto allettanti; in un paese mussulmano come il Kyrghyzstan, dove la “verginità” femminile è considerata sacra, passare la notte a casa di un uomo è comunque uno scandalo enorme e il rischio di non essere accettati di nuovo dalla propria famiglia, incapace di reggere alla vergogna, è molto alto. Molte donne decidono quindi di accettare quello che pensano essere il loro destino.

La mia compagna di chiacchierata invece resistette abbastanza da vedere arrivare, in piena notte e quando oramai era esausta e le sue convinzioni stavano vacillando, suo padre e i suoi cinque fratelli. L’avevano trovata.

Senza una parola, le persone presenti nella casa si spostarono e permisero ai nuovi arrivati di portare in salvo la giovane ragazza. Al rapitore nessuno disse o fece nulla. Pochi mesi dopo si sposò con un matrimonio combinato dalla sua famiglia.

Jyrgal è stata “fortunata”, continua a ripeterlo lei stessa, e dopo aver concluso gli studi si è dedicata a tempo pieno ad aiutare le giovani donne che invece non hanno avuto una famiglia capace (o con la volontà) di supportarle adeguatamente. Ovvero la gran parte del totale.

Ma di che numeri stiamo parlando?

Secondo gli studi condotti da Russel Kleinbach, sociologo e professore alla Philadelphia University, nei villaggi rurali delle repubbliche centro asiatiche, OGNI GIORNO due donne vengono rapite e costrette a sposarsi contro la loro volontà e circa circa un terzo dei matrimoni in Kyrghyzstan coinvolgono un precedente rapimento (“consensuale” o meno).

Se questi numeri siano esagerati, non ho purtroppo gli strumenti per dirlo ma è certo che nelle aree rurali il fenomeno è in aumento, dopo essere stato quasi eliminato durante il periodo sovietico, durante il quale era diventato fuorilegge e severamente punito.

Nemmeno le città comunque sembrano esserne immuni.  Solo nel mese di Giugno due articoli di due fonti diverse (una di esse è Amnesty International) parlano dell’abuso e uccisione di due ragazze da parte di pretendenti che erano stati rifiutati a Bishkek, capitale kirghiza.

Non provate nemmeno a chiedere informazioni o pareri a persone locali; è frustrante vedere quanta omertà sia ancora presente e la sorpresa che suscita uno straniero che si interessa a questi argomenti non è certo positiva.

“Una cosa del passato” è quello che vi sentirete rispondere il più delle volte. Le stesse ONG (le poche rimaste dopo che la legge del 2016 promulgata dal parlamento kirghiso ha chiuso le porte della nazione a circa 65 differenti  organizzazioni, definendole “agenti di paesi stranieri inviati a destabilizzare il paese”) devono lavorare in silenzio, cercando di aiutare giovani donne a cui è stato strappato di mano il proprio futuro, solo perché l’immagine della propria nazione potrebbe risentirne e in fondo… “è la tradizione”.

 

Qui di seguito potete trovare alcuni articoli (in inglese) che considero tra i migliori per farsi un’idea vaga di cosa sia questo fenomeno. I due in italiano sono invece uno molto datato (Maggio 2011) e l’altro una ricapitolazione sommaria degli ultimi eventi.

In inglese

https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/06/kyrgyzstan-new-rape-case-highlights-need-for-immediate-action-to-end-appalling-bride-kidnapping-practice

https://thediplomat.com/2018/06/a-bride-kidnapping-in-kyrgyzstan-ends-in-a-young-womans-death/

https://www.thegazelle.org/issue/109/in-focus/bride-kidnapping

 

In italiano:

http://www.lastampa.it/2011/05/27/blogs/voci-globali/kirghizistan-rapimento-della-sposa-tradizione-o-reato-zsP8jT8U5apLEzhWnHf4zH/pagina.html

http://lepersoneeladignita.corriere.it/2018/06/18/il-rapimento-della-sposa-in-kirghizistan-una-tradizione-dura-a-morire/

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