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Kashgar ovvero Popolare contro il Popolo

Kashgar è stata per migliaia di anni un crocevia di culture lungo il percorso della Via della Seta; collegata al Pakistan tramite il passo Khunjerab, al Kirghizistan attraverso i passi Irkestam e Torugart e grazie al passo Kulma (Pamir) al Tagikistan, non ha mai perso di importanza nei secoli ritrovandosi però nello stesso tempo, soprattutto negli ultimi anni, al centro delle attenzioni del Governo Centrale Cinese.

Nel Luglio 2009 ad Urumqui, la capitale della stessa provincia di Kashgar, una violenta protesta della minoranza uigura (forzatura: sono tutt’ora il 45% della popolazione dello Xinjiang, ma vi sono sempre più coloni Han) che accusava la polizia di eccessivo uso di forza e della scomparsa di due uiguri nella settimana precedente,  sfociò in una tre giorni di scontri tra questi, Han e forze dell’ordine.

Si contarono 197 morti e migliaia di feriti oltre a una deciso “giro di vite” sulla sicurezza ottenuto mettendo a capo della polizia e militari locali alcuni responsabili della “situazione” tibetana.

 

Si può quindi immaginare che la progressiva distruzione dell’antica città e dei vicoli di Kashgar per permettere la costruzione di vie più ampie e palazzine in cemento di (spesso) dubbio gusto, non sia solo da addebitare  ad un tentativo di “messa in sicurezza di un territorio sottoposto regolarmente a fenomeni tellurici (terremoti)” come dichiarato dalle autorità.

Escluse alcune piccole aree, localizzabili ad est dell’abitato, la vecchia Kashgar non esiste più; al suo posto ora vi è la “Nuova Vecchia città”, così cara ai turisti cinesi che amano farsi foto davanti all’entrata ma decisamente sprovvista di “anima”.

 

Senza dimenticare che quel poco che rimane non è nemmeno visitabile. Poliziotti armati sorvegliano le entrate e fanno passare solo i residenti; un cartellone sbiadito recita “Ci scusiamo per il disagio, la Città Vecchia è in fase di ristrutturazione” e a te non resta che girarti e tornare alla “nuova Kashgar”.

Il che significa innumerevoli check points, ronde di cittadini armati di mazze di legno simili a quelle utilizzate nel baseball, coltelli introvabili e quei pochi visibili hanno inciso sulla lama un codice di riconoscimento e nelle casupole dove è possibile comperare cibo di strada sono legati al banco di lavoro da una catena. Sembra di essere in guerra insomma, non esattamente quello che un viaggiatore in cerca del vecchio spirito della Via della Seta si aspetterebbe.

Durante una parata di mezzi militari blindati a sirene spiegate ma a passo d’uomo con al seguito tre/quattrocento tra soldati e poliziotti, mi è quasi sorto il dubbio di essere nel posto sbagliato.

Poi ti rendi conto che Kashgar non è un palazzo, ma è la gente; al mercato di animali le contrattazioni, i muggiti e i belati, gli odori sono gli stessi da secoli.

Le vecchiette che impastano le pagnotte al retrogusto di cipolla tanto buone ma alle quali devi devi fare attenzione e staccare i pezzi di brace dura come un sasso se non vuoi rimetterci un molare, non hanno cambiato ricetta.

I bambini continuano a giocare per strada con poco, anche se non hanno più i loro stretti vicoli e gli anziani continuano a fermarti per strada per stringerti la mano e mostrarti un sorrido sdentato.

Kashgar non è un punto di controllo, non è un lampeggiante acceso ad ogni ora. E’ lo spirito della gente, che ti permette ancora di percepire l’anima di ciò che è stato.

 

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